Vari studi, anche a livello europeo, confermano che le famiglie con figli disabili hanno maggiore probabilità di diventare povere rispetto ad altre famiglie dove la disabilità non è presente.
I principali motivi dell’impoverimento delle famiglie a causa della disabilità si vedono soprattutto a lungo termine. Le persone con disabilità spesso non dispongono di fonti di reddito e le risorse certe sulle quali possono contare sono l’indennità di accompagnamento di circa 500 euro mensili, alla quale si aggiungono circa 300 euro mensili al compimento dei 18 anni per la pensione di inabilità. Spesso vivono in famiglia dove uno dei due genitori ha rinunciato alla propria vita professionale. E come ben sapete in Italia l’impegno di chi rinuncia alla propria vita per prendersi cura della persona non autosufficiente non viene riconosciuto dallo Stato.
Con il Piano per la non autosufficienza 2019/21 è stata posta una soglia minima di 400 euro al mese nel casi di erogazione di assegni di cura, ma sono comunque risorse insufficienti per ricompensare l’impegno verso i propri cari. In più questo assegno è sostitutivo dei servizi assistenziali erogati direttamente dagli enti locali (ma non dai servizi erogati dal Servizio Sanitario Nazionale).
Ai mancati introiti di chi non riesce più a svolgere il lavoro oppure lo devo ridurre in modo significativo e senza una prospettiva di cambiamento, si aggiungono tantissime spese che devono essere sostenute in nome della disabilità: viaggi presso gli ospedali, ricoveri, ausili o medicine che non sempre sono a carico del Servizio Sanitario, le ore di assistenza privata per avere almeno un po’ di sollievo dalla cura, i servizi privati di riabilitazione o di logopedia, gli educatori durante l’estate perché la disabilità non va in vacanza, l’adeguamento della casa (non sempre i contributi per l’adeguamento degli spazi coprono il 100% delle spese), l’acquisto di una nuova macchina in grado di trasportare una carrozzina.
E’ esagerato se scriviamo che le famiglie con un caregiver senza la possibilità di lavorare e un disabile non autosufficiente a carico sono ad altissimo rischio di povertà?
I caregiver spariscono dalla società, dal punto di vista del mercato del lavoro non sono disoccupati perché oggettivamente non cercano il lavoro, ma non rientrano neanche tra i potenziali destinatari delle politiche del lavoro che hanno come obiettivo di recuperare quella fascia di popolazione inattiva, magari adeguando le competenze alle nuove esigenze del mercato. Loro sono immobilizzati a casa a prendersi cura di una persona non autosufficiente e anche se volessero tornare sul mercato del lavoro non possono perché le politiche del lavoro non prevedono il loro rientro. Per farli rientrare sul mercato del lavoro bisognerebbe elaborare un progetto di vita per la persona disabile e per la famiglia che preveda l’assenza del caregiver e quindi i servizi adeguati e durevoli.
In tutti questi anni, ma anche prima, non ho mai visto una sola iniziativa per cercare di aiutare i caregiver a tornare sul mercato del lavoro, a riprendersi i pezzi della propria autonomia e dignità senza aspettare la ripartizione del Fondo per la non autosufficienza per ricevere una miseria di pochi euro quando e se la burocrazia lo deciderà.
Eppure esistono in tutte le Regioni i Piani triennali di politiche del lavoro che mettono in piedi le iniziative per sostenere i disoccupati e inoccupati tramite i corsi di formazione (spesso finanziati con i fondi europei) o tramite i contributi alle imprese per assume le persone che vivono in situazioni di svantaggio o vulnerabilità.
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