Riforma della Disabilità in Valle d’Aosta: 12 domande scomode

La Valle d’Aosta entra ufficialmente nella fase di sperimentazione della “mega riforma” sulla disabilità. La DGR n. 1418 del 24 ottobre 2025 approva il Regolamento per la sperimentazione (in vigore retroattivamente dal 30 settembre 2025 fino a dicembre 2026).

Questa volta, vista la complessità della riforma e l’urgenza di aprire il dibattito, vi proponiamo una prima lettura “a caldo”. È un’analisi necessariamente sommaria: potremmo aver commesso qualche imprecisione o aver trascurato alcuni dettagli tecnici nascosti tra le pieghe della burocrazia. Ma crediamo che il rischio di una piccola omissione sia preferibile al silenzio.

Prendete queste righe non come una sentenza, ma come un punto di partenza per capire insieme cosa sta succedendo.

Molti dei punti interrogativi che troverete qui sotto ci sono arrivati direttamente dalle famiglie che, in questi anni, si sono avvicinate al percorso del Progetto di Vita per il proprio figlio o la propria figlia con disabilità. Famiglie che spesso, pur firmando l’approvazione del progetto, restano con una domanda difficile: è davvero questa la direzione giusta che la riforma sta prendendo?

Sulla carta, ci aspetta una transizione epocale verso il “Progetto di Vita” e l’abbandono delle logiche assistenziali. Nella realtà, rischiamo un cambio di lessico senza un cambio di sostanza.

Abbiamo letto la DGR n. 1418 del 24 ottobre 2025, che ci è stata inviata da una famiglia. Come quella famiglia, anche altre ci hanno scritto in questi giorni: restano preoccupate per come la sperimentazione e la riforma verrà applicata in Valle d’Aosta.

Di seguito trovate le nostre domande: un tentativo per accendere un dibattito e fare un po’ di luce su questioni che, troppo spesso, restano nascoste dietro un linguaggio burocratico complesso.

1) Chi entra e chi resta fuori? (Il rischio del “Doppio Binario”)

La delibera dice che la sperimentazione riguarderà i “nuovi accessi”, i minori e i giovani in uscita dalla scuola. E tutti gli altri? Si creerà una Valle d’Aosta a due velocità: chi ha il “nuovo” Progetto di Vita (sperimentale) e chi resta ancorato alle vecchie logiche assistenziali? Come garantirete che i diritti fondamentali non dipendano dalla data in cui si presenta la domanda?

2) 190 Progetti in 7 anni vs 4.000 persone: i conti non tornano

La Regione vanta l’esperienza dell’UVMDi con 190 progetti dal 2018. Parliamo di una media di 27 progetti l’anno. Con una platea potenziale di oltre 4.000 persone, a questo ritmo ci vorranno decenni per coprire tutti.

La domanda è strutturale: avete assunto nuovo personale per potenziare le unità di valutazione? Perché se le stesse persone che oggi faticano a gestire l’ordinario dovranno redigere Progetti di Vita complessi e personalizzati, il sistema collasserà o, peggio, produrrà progetti “fotocopia” per sbrigare le pratiche.

3) Perché 120 giorni quando l’Italia ne chiede 90?

Il Regolamento fissa a 120 giorni il tempo massimo per concludere la valutazione. La norma nazionale punta a 90. Perché la Valle d’Aosta, regione piccola, autonoma e socio-sanitariamente integrata, si prende un mese in più rispetto al resto d’Italia?

4) “Progetto di Vita” o “Lista della Spesa”?

Il D.Lgs. 62/2024 dice che il progetto parte dai desideri e dalle aspettative della persona. In Valle d’Aosta, troppo spesso il progetto è l’elenco di ciò che è disponibile: “C’è posto al centro diurno il martedì”.

Il nuovo sistema ribalterà la logica? Se il progetto prevede un’attività che il servizio pubblico non offre, il budget coprirà l’acquisto di quel servizio sul mercato o resterà un desiderio scritto su carta?

5) Centri diurni da non realizzare più?

La riforma spinge per l’inclusione e il superamento dei luoghi segreganti. Giusto. Ma oggi i centri diurni sono spesso l’unica risposta concreta per le famiglie dopo la fine della scuola. Se il Progetto di Vita riduce le ore di centro diurno, quali alternative concrete esistono oggi?

Limitare o non potenziare i servizi attuali senza aver costruito una rete inclusiva sul territorio significa solo una cosa: rispedire la persona a casa, a carico esclusivo della famiglia.

6) Inclusione nelle valli: tra il dire e il fare c’è di mezzo… il freddo

Parlare di “vita nella comunità” è facile in un convegno. È più difficile realizzarlo in una vallata laterale tra fine autunno e la primavera dove sono persistenti barriere architettoniche, bagni inaccessibili e poche opportunità di accogliere chi ha una disabilità grave.

Dove vanno a realizzare la vita di comunità nel quotidiano per le ore che non frequentano più il centro diurno? Perché non si citano gli esempi concreti già messi in pratica o in previsione di essere applicati in accordo con le famiglie?

7) Assistenti personali e l’obbligo di contribuire con il 30%

Mancano i servizi pubblici per le persone con disabilità gravissima definite tali in base alla DGR 1524/2023; quindi, la Regione eroga un contributo per assumere un assistente personale. Ma:

  1. Trovare personale formato (specie per disabilità gravissime) a ore spezzate è un’impresa impossibile.
  2. Chiedere alle famiglie di coprire il 30% della spesa, indipendentemente dall’ISEE, è semplicemente ingiusto. Perché, se il servizio pubblico manca, la famiglia deve pagare di tasca propria per sopperire a una carenza dello Stato? Il D.M. 17/2025 parla di autogestione delle risorse, non di una tassa sulla mancanza di servizi.

La Regione dovrebbe chiedersi perché pochissime famiglie (dagli ultimi dati condivisi sembrano meno di 10!) riescono ad assumere un assistente personale.

8) Liste d’attesa: la trasparenza dov’è?

Se il Progetto di Vita è un Livello Essenziale delle Prestazioni Sociali (LEPS), non può essere soggetto a “disponibilità di bilancio” o a liste d’attesa indefinite. Il Regolamento non chiarisce i criteri di priorità. Chi passa prima?

Ci sarà un registro pubblico e trasparente dei tempi di attesa per accedere ai servizi? Senza dati certi, la “personalizzazione” rischia di diventare discrezionalità (o favore).

9) Budget di Progetto: chi gestisce i soldi?

Il Regolamento richiama il budget di progetto e l’idea che possa essere anche autogestito con obbligo di rendicontazione. Ma qui serve chiarezza: chi accompagna concretamente le famiglie (soprattutto quelle con disabilità gravissima o con caregiver anziani)? Quali tutele per chi non è in grado di gestire burocrazia, ricevute, comunicazioni?

Se non si struttura bene, il rischio è semplice: spostare l’onere amministrativo dal sistema pubblico alla persona con disabilità e alla sua famiglia, chiamandolo “autodeterminazione”.

10) Una riforma arrivata a ridosso del voto: serve chiarezza sulla tempistica

Guardiamo il calendario: la deliberazione è stata approvata il 24 ottobre 2025, a elezioni regionali appena concluse e prima dell’insediamento della nuova Giunta. È legittimo chiedersi perché un atto destinato a incidere in modo significativo sul welfare valdostano sia stato adottato in questa finestra temporale, con un’amministrazione uscente in regime di prorogatio.

È possibile che vi fossero ragioni tecniche e scadenze nazionali da rispettare; proprio per questo riteniamo importante che vengano spiegate con chiarezza. Una maggiore trasparenza aiuterebbe anche a evitare fraintendimenti e a favorire un confronto pubblico sereno: perché su una riforma di questa portata, il dialogo con cittadini, famiglie e territori non è un optional.

11) Dove sono i Comuni? Il silenzio assordante del CPEL

Il testo parla continuamente di “territorio”, “ambiti distrettuali” e “prossimità”. Eppure, manca un attore protagonista: il CPEL (Consiglio Permanente degli Enti Locali). È verosimile che una riforma che stravolge i servizi sociali territoriali non veda un coinvolgimento formale e strutturale dei Sindaci e delle Unités?

12) Ultimo punto…

Manca, perché in teoria ce ne sono tanti altri da sollevare, ma il tema è complesso, e questo è un primo commento: non per “fare polemica”, ma per evitare che la riforma resti un esercizio di linguaggio. Una rivoluzione, per essere tale, deve reggersi su scelte chiare, risorse vere e responsabilità verificabili.

Se volete, aggiungete voi questo ultimo punto anche scrivendoci a info@lacasadisabbia.org: lo pubblicheremo in forma anonima. Perché il silenzio non è neutralità: è il terreno perfetto perché tutto resti com’è.

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